Nasce la “Fabbrica dei Sogni” dalle parole tedesche Traum, sogno e Fabrik, fabbrica. Il nome fu coniato da Filippo Scozzari quando, insieme a Giampietro Huber e a Dadi Mariotti, prese possesso di un appartamento in uno stabile occupato in via Clavature 20, nel centro di Bologna che in breve tempo divenne una “Open House”, nella più pura tradizione delle Factories di Andy Warhol.
In seguito il centro della Traumfabrik si spostò dal tavolo da disegno di Filippo al giradischi accanto al divano centrale. Un giradischi che, dapprima, proponeva una versione ridotta della rotation di Radio Alice (Rolling Stones, Fela Kuti, Bob Dylan, Eric Burdon, niente Beatles), ma prevalentemente un disco, vera colonna sonora di quella primavera: Here Come The Warm Jets, di Brian Eno. È strano pensare come un disco uscito nel 1973 potesse apparire così “avanti”, ma la favolosa Bologna Rock non esisteva ancora. In quella Bologna dominavano i cantautori, la canzone popolare e gran dosi di musica cilena.
Ma sarebbe durato ancora pochissimi mesi. Di lì a poco, l’uscita del primo disco dei Ramones avrebbe cancellato tutto il passato. Ramones, Ultravox, Suicide divennero la nuova musica, la colonna sonora di un nuovo modo di vedere il mondo…. La droga – ogni tipo di droga – dominava la psiche collettiva. La droga era la Grande Rete, l’Internet degli Anni Settanta, e la biochimica era la chiave per vivere il cambiamento, per ascoltare il respiro del tempo.
In particolari momenti attraverso le sostanze psicoattive si realizzava una condivisione empatica che dava luogo a un’attività di creazione collettiva. Era soltanto un effetto collaterale della droga? C’è un rapporto speciale fra l’arte e la droga, e fra la droga e gli artisti; un legame misterioso mai veramente spiegato, ma reale e provato.” (Giorgio Lavagna)